MANIFESTO
IL GIORNO PRIMA
Non vogliamo che le forze illiberali distruggano i nostri paesi. Dietro i populisti, i sovranisti, gli illiberali di ogni tipo, al lavoro ci sono gli ingegneri del caos.
In un mondo a trazione Trump-Putin-Xi Jinpin, la struttura stessa delle nostre democrazie sta entrando in crisi. Il potere della tecnologia, delle intelligenze artificiali, degli algoritmi e dei dati, delle più grandi concentrazioni finanziarie che la storia ricordi, dell’informazione, si uniscono alla soverchiante forza militare, politica o commerciale dei nuovi imperi.
L’Europa si risveglia più povera, vecchia e periferica. Il benessere dei cittadini si dissolve come polvere: meno opportunità, meno welfare. Un lento e costante impoverimento, economico e sociale. Le simpatie delle masse vanno allora verso un cambiamento radicale, di rottura con lo status quo. L’Italia si è candidata ad essere la Wuhan dei populisti reazionari, i nuovi sanfedisti vengono a fare pratica nei nostri laboratori.
La sinistra, un tempo motore del cambiamento, oggi è imprigionata in un limbo tra passato e presente. Il governismo l’ha resa corresponsabile della crisi attuale, un certo “post-comunismo” la porta a indulgere sul proprio passato. Questa ambiguità frena il rinnovamento e la capacità di proporre un’alternativa credibile.
L’aggiornamento ideologico delle stesse contraddizioni che hanno fatto fallire il comunismo oggi si chiama “intersezionalismo”. Ridotto a etichetta “woke”, è divenuto una religione laica che rinchiude le persone in identità preconcette. In nome di una strana concezione di giustizia sociale, crea nuove divisioni anziché superarle. Non affronta le cause delle diseguaglianze ma riduce l’individuo alla somma delle sue appartenenze, risarcendo gli oppressi senza trasformare la società in un’unità realmente plurale.
In altre parole, oggi abbiamo una sinistra che incarna allo stesso tempo “establishment ed estetica radicale”. Che è radical, ma pure chic. Un mix perfetto per essere travolto.
RISPONDERE ALLA CRISI DEL LAVORO E DELLA DEMOCRAZIA
Per comprendere il Paese è necessario partire dalle sue grandi crisi: quella del lavoro e quella della democrazia. In altre parole, della dimensione fondativa della Repubblica.
Trent’anni di salari reali fermi, più di un milione di italiani che, pur lavorando, vivono al di sotto della soglia di povertà, un’emorragia di giovani che hanno scelto di andare all’estero per inseguire una promessa di normalità. La Repubblica che si fonda sul lavoro è la più grande promessa disattesa.
La crisi del lavoro è sistemica. Un tempo, stipendi dignitosi e welfare garantivano sanità e istruzione accessibili. Oggi, liste d’attesa e standard in calo spingono molti verso il privato. Senza investimenti e strategie, scuola e sanità rischiano di diventare residuali, mentre i governi si limitano a interventi tampone. La crisi della democrazia invece non è solo una crisi della partecipazione o del voto. La Democrazia non è un evento elettorale, ma un processo di trasformazione della società.
Salari insufficienti rendono impossibile risparmiare e liberare tempo libero per partecipare alla vita democratica. Intanto, partiti e sindacati, un tempo pilastri della rappresentanza, hanno perso forza e credibilità. L’articolo 39 della Costituzione, che avrebbe reso i sindacati più trasparenti ed efficaci, non è mai stato attuato. I partiti, guidati dai sondaggi anziché dal contatto con la società, sono frammentati in micro-istanze corporative.
Chiunque oggi si può iscrivere ad un partito, ma sempre meno cittadini ne avvertono la necessità. Partiti personali e vita democratica interna inesistente lo rendono inutile. Gli elettori stessi non scelgono più i candidati, ma ratificano decisioni imposte dalle segreterie, che privilegiano fedeltà e sicurezza di elezione anziché rappresentanza reale. Perché un cittadino dovrebbe allora andare a votare? Al massimo per far perdere lo schieramento opposto. Il voto utile è un ricatto frustrante, l’astensione una conseguenza disastrosa.
IL TEMPO È ADESSO!
Noi crediamo in una società di individui liberi e solidali, dove ogni persona è prima di tutto un essere umano unico e indefinibile, non un'equazione da risolvere. Un luogo dove le differenze sono ponti da attraversare, non fossati da scavare. Invece che dalle intersezioni di etichette posticce, è dal minimo comune denominatore che vogliamo partire: da ciò che unisce le persone e non da ciò che le divide.
Va costruita una proposta politica che non sia solo in grado di fare scelte opportune, ma di riflettere i valori profondi dei nostri sentimenti democratici e umanistici. Che coltivi un amore ostinato per le libertà, che si liberi dei retaggi del collettivismo e vi opponga l’idea di una società plurale, che rifiuti ogni forma di corporativismo preferendo sempre la costruzione di una società aperta, che abbia come missione la lotta alla povertà, materiale e sociale.
Una sintesi nuova tra giustizia sociale e sostenibilità ambientale. Una sintesi guidata dalla ragione, dalle innovazioni tecnologiche e dalle risposte scientifiche. Non può esistere vera giustizia sociale in un pianeta devastato, né vera sostenibilità ambientale senza equità e inclusione.
Crediamo nel socialismo liberale come bussola per il XXI secolo: libertà individuale e giustizia sociale non sono antagoniste ma complementari. Meriti e bisogni. Ci riconosciamo nell'eredità politica e morale di Giacomo Matteotti, che seppe opporsi con tenacia alle pulsioni totalitarie fasciste e comuniste. La politica deve tornare a essere lo strumento attraverso cui i cittadini decidono del proprio destino, anche proteggendo i loro diritti digitali e contrastando la manipolazione algoritmica. Questa è la vera sovranità del popolo, che ormai va esercitata a livello europeo.
Un’Europa di piccole patrie sovrane si condanna ad essere marginale negli equilibri mondiali. Ma neppure si può pensare di opporre alle seduzioni dei sovranisti l’Europa degli apparati, dei percorsi di integrazione lenti, delle passioni fredde e tecnocratiche. L’obiettivo di costruire un grande mercato comune europeo, obiettivo mai raggiunto davvero, non basta: ci vuole l’Europa della difesa comune e della politica industriale comune. Un orizzonte perfettamente tratteggiato dal Piano Draghi, ma che ad oggi non trova il necessario coraggio politico che lo renda concreto. Bisogna partire dal più profondo vincolo morale che unisce i suoi cittadini: uniti nelle diversità, per la pace e la prosperità.
Gli Stati Uniti d’Europa non sono un sogno avveniristico, ma possono nascere subito, partendo da quello che già c’è. Superando i partiti nazionali e costruendo un unico grande partito continentale in luogo dei partiti socialisti e democratici nazionali. Cogliendo i “sovranisti” impreparati e inadatti a questa sfida.
Non abbiamo più il lusso dell'attesa. Abbiamo ancora il potere di cambiare rotta, di costruire un'alternativa, di dare forma ad un futuro diverso.
Questo è il giorno prima che le tensioni internazionali sfuggano a ogni controllo. Il giorno prima che la società si divida definitivamente tra chi può permettersi diritti fondamentali come salute, istruzione e informazione di qualità e chi ne resta. Il giorno prima che l'idea stessa di libertà, intesa come possibilità concreta di autodeterminarsi e partecipare alla vita della comunità, venga sostituita da un simulacro individualistico e consumistico.
Questo è il giorno prima. E noi scegliamo di agire. Adesso!